Attone: IV Duca di Spoleto
Il IV Duca di Spoleto fu Attone e governò per un decennio: dal 653 al 663. Come per il suo predecessore di lui sappiamo poco, quasi niente. La fonte più antica sarebbe Paolo Diacono, autore molto più tardo. Non a caso usa spesso espressioni evasive, come ad es.circa haec tempera.

Nella sua Historia Langobardorum ci dice solo che a Spoleto, morto Teudelapio I, gli successe Attone. Non sappiamo perciò se questi ne era il figlio o un parente.
Né se fu eletto con il favore o meno di Pavia. Né se, quando Trasmondo conte di Capua fu eletto nostro duca nel 663, egli fosse ancora in carica e quindi rimosso, oppure se da tempo il seggio ducale fosse vuoto.
Non potendo parlare del governo di questo duca, ne approfitteremo per parlare dell’organizzazione amministrativa del territorio.
Al loro arrivo in Italia i Longobardi erano un popolo in armi guidati da un’aristocrazia di cavalieri e da un re guerriero eletto tra le fila dell’esercito.
La struttura sociale era basata sulle farae, clan aristocratici militari, a capo delle quali c’era un duca che comandava gli arimanni, uomini liberi appartenenti al ceto aristocratico, legati a lui da vincoli di parentela. Alla base della scala sociale stavano i servi che vivevano in condizioni di schiavitù, mentre ad un livello intermedio gli aldii, uomini semiliberi che svolgevano il servizio militare come soldati di fanteria, arcieri e scudieri.

In Italia le farae si insediarono sul territorio respingendo ogni commistione con la popolazione latina e mantennero inalterati tutti quei caratteri che li distinguevano sia dai Bizantini che dai Romanici (la lingua, la religione pagana, una struttura sociale fortemente militarizzata), ben documentati dai corredi delle prime necropoli.
Il rapporto con gli autoctoni inizialmente fu difficile e violento, ma col passare del tempo si manifestarono segnali di cambiamento, soprattutto dopo la conversione al cattolicesimo. I Longobardi cominciarono ad integrarsi con le vecchie élites romane, che gradualmente accettarono la loro presenza.
Le città, sede dei duchi, divennero essenzialmente centri militari di controllo del territorio. Le campagne invece vennero organizzate sulle arimannie: territori rurali gestiti da arimanni che curavano, oltre all’aspetto militare, le risorse economiche e produttive impiegando manodopera contadina indigena.
Con il progressivo consolidarsi del potere longobardo, la struttura politica basata sul sistema dei ducati si rafforzò: ogni ducato era guidato da un duca, non più solo capo di una fara, ma funzionario regio con poteri pubblici, affiancato da figure minori come i gastaldi (referendari del re, giudici, notai) e, nell’VIII secolo, i gasindi.
Alle dipendenze dei gastaldi stavano funzionari di minore importanza, gli sculdasci, aventi mansioni amministrative, di polizia, di piccola giustizia, i quali a loro volta avevano come coadiutori altre minori figure, quali i decani, i saltarii, gli scariones.
Il re, da capo militare, divenne gradualmente un sovrano capace di rappresentare istituzionalmente l’intero popolo di fronte all’Impero bizantino, al Papato e ai Franchi. Il regno longobardo da occupazione militare si trasformò in uno Stato con una società differenziata e una gerarchia legata alle proprietà fondiaria.
La conversione al cattolicesimo e la redazione di un corpo di leggi scritte in latino (Editto di Rotari) segnarono la fine delle consuetudini barbariche e posero le basi per la formazione di una società basata sulla proprietà terriera, sull’unione matrimoniale e sul diritto ereditario ma di questo parleremo la prossima volta.
Buon lunedì con i Longobardi!
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